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Lambrugo e i suoi lavatoi Momberto

Veramente i panni sporchi…si lavano in casa?

Perché, mentre oggi, per fare il bucato abbiamo a disposizione delle lavatrici che fanno innegabilmente tutto il lavoro al posto nostro, che sono a portata di mano fra le quattro mura domestiche… una volta non era esattamente così, anzi!!! In un’epoca che sembra troppo distante temporalmente da noi, ma che così lontana non è, lavare i panni era una faccenda impegnativa, rumorosa e “affollata”.

Coinvolgeva tutta la famiglia, era una gran impegno che andava a sommarsi ai non facili lavori quotidiani, durava almeno un giorno e in una certa fase, veniva svolta all’esterno!!! Nei lavatoi pubblici o lungo il corso dei fiumi.

Il bucato, si faceva ogni quindici/venti giorni, qualcuno anche una volta al mese e nelle famiglie più povere, a causa della penuria di vestiti e biancheria, era necessario farla molto più frequentemente. Di solito si lavavano i propri panni, ma c’erano anche le lavandaie che lo facevano di mestiere, magari perché rimaste vedove e quello era l’unico modo di racimolare qualche soldo.

Per lavare i panni si usava la ranna (c.d. ranno) cioè una soluzione ottenuta versando dell’acqua bollente sopra uno strato di cenere bianca, proveniente da legni poveri, come ginestre, rovi, acacie, sopra un telo ampio a trama fitta, o un vecchio lenzuolo rattoppato. Per le macchie più ostinate, utilizzando il sapone fatto in casa (si facevano bollire, insieme soda caustica, pece, scarti di grasso e ossa animali e si profumava con lavanda, foglie di menta o basilico).

Solitamente questa fase si svolgeva sulla sponda del fiume, dove le donne si mettevano in ginocchio, sfregando su di una pietra levigata (c.d. prea), o nei lavatoi.

Appena concluso questa attività, i panni venivano riposti nelle ceste e riportati verso casa, solitamente venivano trasportate in equilibrio sulla testa.

Una volta a casa si prendeva una grande recipiente, realizzata con doghe di legno e munita di un foro di scarico nella parte bassa, chiuso da un piro di legno e vi si sistemava la biancheria a strati ben distesa, in modo che non vi ristagnasse la ranna con cui si sarebbe poi riempita.

I panni venivano ricoperti da un telo, su cui sarebbe stata posta la cenere precedentemente setacciata. Intanto si metteva a scaldare l’acqua in un grande recipiente.

L’acqua bollente versata sulla cenere ne scioglieva i componenti, formando una soluzione di bicarbonato di potassio che, penetrando nei panni e unito al sapone, li rendeva bianchi e donava loro profumo. Versata tutta l’acqua, si ripiegavano gli angoli del telo su se stessi in modo che la biancheria rimanesse più a lungo possibile al caldo, e vi si lasciava riposare per tutta la notte.

Il giorno dopo, quando ormai l’acqua si era raffreddata, si toglieva il telo con la cenere e si recuperava la ranna che sarebbe servita per lavare i panni di colore, i capelli, le stoviglie e i pavimenti.

Rimaneva ancora una cosa da fare…e cioè andare a sciacquare i panni sotto l’acqua corrente dei lavatoi o del fiume.

Questa volta si utilizzavano carriole o birocci, perché i panni intrisi d’acqua pesavano molto di più e il lavoro in questa fase necessitava di tante braccia e di tante donne, e i lavatoi diventavano luoghi chiassosi, dove il rumore dell’acqua scrosciante, dei panni zuppi sbattuti sulla pietra, con dei sonori schiocchi, si mescolava al chiacchiericcio, alle risate, alle canzoni a volte, ai pettegolezzi delle nostre nonne che, nonostante la vita difficile, trovavano sempre di che ridere e sorridere.

Il Lavatoio di Momberto

In questo contesto si innesta il Lavatoio di Momberto.

Situato tra via Battisti e via Momberto mappa

Il lavatoio è stato costruito dalla famiglia Monti nel 1926. Il nome della signora Paola Monti è presente sulla sezione frontale. La Famiglia Monti si è spesa significativamente per il paese di Lambrugo sia tenendo in vita per molti anni la filanda sia donando un terreno e facendoci costruire sopra l’asilo.

Il lavatoio è alimentato dall’acqua che confluisce dalle sorgenti del “Ceppo” che nasce e si sviluppa nella zona della collina della stazione di Lambrugo.

La struttura si presenta in un ottimo stato di conservazione. Composta da due vasche rettangolari di egual misura ed un vasca più piccola dal quale entra l’acqua che ha permesso negli anni la funzionalità.

La vasca più distante dalla strada veniva utilizzata dalle lavandaie per lavare i panni, la più vicina per sciaquarli.

Le lavandaie utilizzavano le parti in pietra poste ai bordi delle vache (c.d. prea) per le operazioni di sfregamento e di parziale asciugatura dei panni.

La vasca più piccola viene definita dagli storici abitanti del paese come quella del “battezzo”, ossia i bambini, fino agli anni ’60, giocando nei pressi della stessa, spesso cadevano all’interno bagnandosi completamente.

Un detto paesano recita:

La cattiva lavandera non trova mai la giusta prea” (traduzione: “La cattiva lavandaia la tira in lungo per non lavorare”)

Alcune immegini di strumenti utilizzati per fare il bucato e utilizzare l’acqua anche nelle abitazioni. Nella prima foto bastone ricurvo con tacche alle estremità per ancorare i secchi per trasportare l’acqua. Nella seconda foto la cesta per il bucato.

Questi sono i luoghi della Nostra storia che, pazientemente restano lì, magari sotto gli occhi di tutti, e attendono che qualcuno si ricordi di loro e li vada a riscoprire.

Il progetto vede la collaborazione e la partecipazione dei sig.ri Stefano Casati e Carlo Riva, dell’associazione Pro Loco di Lambrugo e del Comune di Lambrugo.